I Corinzi cap.15 da 12 a 19: Ora se si predica che Cristo è stato risuscitato dai morti, come mai alcuni di voi dicono che non c’è resurrezione dei morti? Ma se non vi é resurrezione dei morti , neppure Cristo è stato risuscitato; e se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la nostra fede. Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiamo testimoniato di Dio, che egli è risuscitato in Cristo; il quale egli non ha risuscitato se è vero (come dite) che i morti non risuscitano. Difatti se i morti non risuscitano, neppure Cristo è stato risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che sono morti in Cristo, sono dunque periti. Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Il teologo del XX secolo , Karl Barth , evidenzia che in questa pericope Paolo “non usa alcun riguardo ai bisogni di una comunità formata di credenti , di credenti a metà e di increduli …“ La posta in gioco per Paolo è troppo importante: alcuni di Corinto osano affermare che non esiste la resurrezione dei morti (!)“ L’Apostolo preferisce “non curare” la comunità, l’argomento è di primaria importanza, accada quel che accada ai sinceri credenti e i non credenti, non agisce come pastore delle anime di fronte a questo fondamentale argomento bensì come testimone del suo Signore. I Corinzi, o almeno alcuni di loro…, non credevano nella resurrezione dei morti pur credendo in quella di Gesù, perché, secondo la maggioranza dei commentatori, siamo di fronte ad una forma di proto-gnosticismo: erano convinti di essere già risorti con Cristo mediante il battesimo e la ricezione dello Spirito Santo e quindi in loro era già stato tutto compiuto , la resurrezione era già avvenuta, essi escludevano una “doppia resurrezione“ una spirituale e una corporea, solo Gesù costituiva una singolare eccezione. Secondo loro, lo Spirito Santo, ricevuto nel battesimo, ”in quanto sostanza del mondo divino perfetto, non può essere distrutto dalla morte del corpo materiale“ ( F. Lang ). Paolo denuncia, nei confronti dei Corinzi increduli della resurrezione dei morti, che non hanno compreso la portata della fede nella resurrezione di Cristo Gesù, è in gioca la rivelazione stessa di Dio. Per Paolo il prodigio di Dio per Cristo risorto è immediatamente e contemporaneamente il prodigio di Dio per noi. “Se la resurrezione di Cristo viene intesa dai credenti come semplice miracolo, o mito, o come esperienza psichica“ ( K.Barth ), non è più intesa come rivelazione di Dio. Questa rivelazione concretamente significa che Dio è Dio, parola verace , non è Dio solo quì ma non laggiù ( nella vita eterna ), solo in Cristo ma non per noi. I Corinzi erano convinti che Paolo volesse imporre loro, in modo dogmatico, un principio: la resurrezione dei morti (!) Essi la ritenevano non necessaria e incomprensibile ai fini della salvezza. Ma se credere nella resurrezione dei morti è una follia non necessaria, allora nemmeno la resurrezione di Cristo ,afferma Paolo, sarebbe necessaria, nemmeno Lui è risorto, perché significherebbe mantenere una devozione in qualcosa che non ha nessun significato ai fini della vita cristiana. Difatti, evidenzia Paolo, mantenere il credo nella sola resurrezione di Cristo e non in quella di tutti noi credenti, significa mantenere una sola visione di tipo “ religioso”, conservare una fede solo in alcuni semplici “principi religiosi“, come fanno tutte le religioni del mondo. Ma se le cose stanno così, dice Paolo, è vana la nostra predicazione oltre che la nostra fede Perchè l’annuncio cristiano è un annuncio fondato su una rivelazione, non può scadere a semplice “dottrina della fede“, sarebbe un annuncio “vuoto” perché privo del peso dell’oggetto della rivelazione divina che si deve credere. La fede non deve mai perdere il rapporto con la “rivelazione“, si scivola nella sfera delle semplici religioni, queste hanno un valore umano ma non “possono pretendere in alcun modo di essere e di restare niente di più che una realtà umana – una noce vuota“ ( K:Barth ). Noi possiamo diventare falsi testimoni di Dio , dice Paolo, se crediamo che l’azione di Dio in Gesù si limita solo alla vita di quest’ultimo : solo Sua l’esperienza della croce, l’esperienza dell’abbandono, solo Sua la resurrezione…
Gesù non sarebbe più il messia e la rivelazione perde la sua limpida verità storica vitale. La fede religiosa non può fare a meno della rivelazione e del confronto continuo con quest’ultima, in caso contrario avrebbero ragione quelli che, già da tempo, vedono nella semplice religione “un sogno originato da un desiderio umano, semplice proiezione dei più intimi desideri …“ ( Feuerbach). Senza la rivelazione la fede ricade su se stessa e perde la sicura fiducia in Dio. Paolo pone, nella pericope, un’altra questione di primaria importanza: se si crede nella sola resurrezione di Crisito o, ancora peggio, non credendo nella resurrezione dei morti, viene resa vana anche la resurrezione di Cristo, che potrebbe essere anche non avvenuta, in simile evento siamo ancora immersi nei nostri peccati (!) Perchè semplicemente non esiste una vittoria sul peccato facendo leva su un entusiasmo religioso in “questo mondo“, incapace di intravedere la fine di tutte le cose, se il mondo e la vita che conosciamo non hanno una “ fine “, crediamo soltanto nell’ infinito progredire dell’uomo qui e ora (al di qua). Senza la morte della morte, non c’è redenzione ma solo attaccamento a tutto ciò che è finito, sia pure consolato dalla fede in Dio. Ne consegue che la semplice consolazione della fede non significa “rimettere i peccati “, essi sono rimessi solo se si accetta la sentenza ultima: dobbiamo morire. Rimanere nell’ambito dell’ottimismo della vita terrena, sia pure in una vita riempita dalla speranza e fedeltà nell’azione dello Spirito Santo e quindi felice perché condotta secondo una vera morale, significa perdere la speranza nella vita eterna. E’ spaventoso, per Paolo, sperare in Cristo solo relativamente a questa vita, non ha nessun senso evitare la crisi del passaggio vita – morte – vita, bisogna credere nella vita nella resurrezione, andare radicalmente oltre la vita terrena. Viceversa l’intera esistenza cristiana diventerebbe paradossale perché, come evidenziava anche Lutero: “… perché, (i cristiani che credono solo nella fede in questo mondo e non nell’aldilà) rimangono imbrigliati nelle due vie del bene e del male, inoltre il diavolo e la loro propria coscienza sono contro di loro e quest’ultima gli dice che non sono pii …, quindi sulla terra non c’è nessuna creatura e nessuna vita più misera di quella cristiana (che è costretta a combattere con se stessa), mentre la grande massa ignora tutto questo, sono tranquilli e sereni e non provano nemmeno un briciolo di questo dolore.”
In conclusione la pericope di I Corinzi cap.15 da 12 a 19 , mostra che Paolo vede nella vicenda del Gesù terreno, crocifisso, sepolto, resuscitato, innalzato nella potenza di Dio , una unica sola azione divina. Quindi non si tratta di credere in Gesù per un atteggiamento del credente solo intramondano accompagnato dalle esigenze etiche da Egli stesso richieste, molto di più, si tratta della fede nella giustificazione definitiva del peccatore, questa certezza nella redenzione troverà il suo compimento solo nel futuro . “ La speranza nel compimento futuro non è un consolarsi col futuro ma dimostra anzi, già in questa vita, di essere una forza che motiva e sostiene.” ( F. Lang )
Giuseppe Verrillo