Il pastore e le pecore

L’immagine del pastore e delle pecore evidenzia che la
relazione che lega Gesù e i credenti è profonda, confidenziale,
dai risvolti esistenziali unici. Ma in un tempo in cui il bisogno di
Dio è poco avvertito, questa immagine parla ancora?

In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio e le pecore ascoltano la sua voce ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Ma un estraneo non lo seguono; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei. Questa similitudine disse loro Gesù: ma essi non capirono quali fossero le cose che diceva loro.

(Giovanni 10, 1-6)

In questo suo discorso figurato, Gesù fa riferimento a quegli spazi, ben noti nella Palestina di allora, dove venivano raccolti, per il ricovero, più greggi affidate a un solo guardiano. Erano spazi solitamente adiacenti alle abitazioni e delimitati da un muro. Di buon mattino il pastore si recava presso questo ricovero comune per condurre al pascolo il “proprio gregge”.

Il guardiano apriva le porte dello spazio comune perché conosceva il pastore e, dal canto loro, le pecore iniziavano a seguirlo perché ne riconoscevano la voce. L’operazione più difficile era proprio quella di far uscire le proprie pecore dal composito ovile; solo quando questo avveniva il pastore poteva “camminare davanti a esse”. Il riferimento al profondo rapporto che lega Gesù e i credenti è più che evidente. I credenti seguono obbedienti il loro pastore Gesù perché la comprensione è reciproca: richiamo e ascolto si corrispondono e segnano i termini di una relazione profonda, confidenziale, dai risvolti esistenziali unici. Come diceva un teologo: l’espressione “seguire” equivale alla “sequela” nella fede in Gesù, così come “conoscere la voce” equivale a “conoscere il Rivelatore” e comprendere la sua rivelazione.

Tuttavia, a questo punto, occorre onestamente chiedersi: la religiosità dei credenti occidentali di oggi, percepisce questo linguaggio figurato di Gesù in maniera così coinvolgente o spesso si sente estranea a esso, a volte motivando tale estraneità con la incomprensione o inconsistenza di ciò che i teologi e i pastori raccontano dal pulpito o altrove? La recente ricerca della sociologia della religione sulla secolarizzazione, evidenzia che sempre di più molti credenti sperimentano che manca ben poco nella loro vita quotidiana se si distaccano dalla loro Chiesa.

La de-ecclesizzazione, l’allontanamento sistematico di un sempre maggior numero di credenti dalle Chiese è il primo inesorabile passo sulla strada verso la dimenticanza di Dio e della sua rivelazione. Il bisogno di Dio e di una propria spiritualità è sempre meno avvertito. Ne consegue il rifugio in una religiosità personale, individuale, una religiosità “liquida”, che scompare con l’individuo.

Come si può uscire da questa spirale? Proprio il discorso figurato di Gesù di questi primi sei versi del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, può aiutarci a meglio orientare la proposta religiosa verso tutti coloro che la vivono con distacco e disinteresse. Abbiamo detto che il gregge vive in un recinto “comune”, vive in una situazione di “prosocialità”, pur appartenendo a un solo pastore e riconoscendo solo la sua voce. Questa sembra essere una delle risoluzioni del problema: la fede deve diventare nuovamente visibile e proponibile se in primo orienta i credenti verso i propri simili, se vive la responsabilità verso tutte le altre persone.

Non era forse questo il principio delle prime comunità cristiane? Esse erano profondamente attente alle problematiche della società civile a loro contemporanea e si sentivano coinvolte in essa, con una particolare attenzione verso gli strati sociali più poveri. E non è forse questo l’orientamento che dovrebbe guidare la fede di noi cristiani di oggi? Lasciarsi coinvolgere dalle problematiche a noi contemporanee in vista dell’affermazione di quel condiviso, teso al recupero della dignità umana.

PREGHIERA
Signore,
rendici sensibili
al grido di chi soffre.
Al grido di coloro che sono
depredati della loro dignità,
della loro libertà.
Al grido di chi è costretto
a vivere la guerra.
Al grido di coloro che sono
impoveriti dai
mutamenti ecologici.
Al grido di chi è costretto
a subire l’insensibilità dei molti.
In Gesù Cristo, Signor nostro.
Amen.

La meditazione biblica del pastore
Giuseppe Verrillo è andata in onda
domenica 25 settembre 2022 durante il «Culto
evangelico», trasmissione di Radiouno
a cura della Federazione delle chiese
evangeliche in Italia